Prima di qualunque tentativo di rimozione è indispensabile capire con quale tipo di silicone si ha a che fare e in quale fase di polimerizzazione si trova. Quello “acetico”, caratterizzato dall’odore pungente di aceto, polimerizza liberando acido acetico e risulta inizialmente più elastico; quello “neutro” o “ossimico” rilascia al massimo una lieve nota di ammoniaca e indurisce in maniera meno rapida. Il lasso di tempo trascorso dall’istante in cui il prodotto ha toccato il tessuto influisce in maniera determinante sulla strategia da adottare: nei primi minuti la pasta rimane pastosa e può essere asportata meccanicamente con maggiore facilità, dopo due o tre ore le catene polimeriche hanno già formato un reticolo resistente all’azione di molti solventi domestici. Individuare quindi l’arco temporale tra sgorgo accidentale e intervento significa scegliere se puntare su un’azione a freddo che solidifica ulteriormente la macchia per staccarla a scaglie, oppure su un approccio chimico con sostanze in grado di gonfiare il polimero indurito senza danneggiare la fibra del tessuto.
Intervenire sulla macchia fresca con il principio di coesione superiore all’adesione
Se il silicone è caduto sul tessuto da pochi minuti la sua struttura non ha ancora aderito in maniera definitiva alle fibre. A questo stadio la pulizia migliore consiste nell’approfittare della coesione interna del materiale, superiore alla sua forza di adesione al supporto. Con la lama smussata di una spatola di plastica o con il bordo di una tessera rigida si accompagna delicatamente la massa verso l’esterno, come se si “spingesse via” un chewing-gum. Il movimento deve essere radente e parallelo alla superficie, per non imprimere pressione verso il basso che al contrario costringerebbe il sigillante a insinuarsi nella trama. Una volta allontanata la parte più corposa, il velo sottile rimasto si tampona con un batuffolo di carta imbevuto di alcol isopropilico: l’alcol agisce per dissoluzione parziale dei fluidificanti ancora presenti e permette di tamponare senza spalmare ulteriormente. In questa fase è essenziale non sfregare con gesti rotatori, perché si otterrebbe un effetto di “graffite” in cui il silicone penetra come un pigmento resistente.
Solidificare il residuo con il freddo quando la pasta è già vischiosa
Nel caso in cui la pasta si presenti appiccicosa ma non più pastosa, quindi in una fase intermedia in cui la spatola rischia di creare fili elastici che si aggrappano ancor più alle fibre, la scelta più efficace è ricorrere al freddo. Applicare un cubetto di ghiaccio dentro un sacchetto per alimenti direttamente a contatto con la zona interessata raffredda rapidamente il polimero, facendogli perdere elasticità. Dopo uno o due minuti la superficie si irrigidisce e il silicone può essere spezzato in piccole scaglie sollevandole con l’unghia o con un raschietto per vetro ceramico usato con mano leggerissima. Il freddo ha il pregio di non coinvolgere in alcuna reazione chimica la tintura del tessuto e di non lasciare alone, ma occorre tenere la borsa di ghiaccio in movimento, per evitare un anello di condensa che bagnerebbe la trama e fisserebbe eventuali pigmenti rilasciati dal sigillante.
Utilizzare i solventi speciali sul silicone polimerizzato senza aggredire le fibre
Quando il sigillante si è ormai seccato e nel toccarlo si avverte la consistenza gommoso-elastica tipica del prodotto indurito, la rimozione meccanica diventa ardua e rischia di strappare il tessuto, soprattutto sulle tele di cotone fitte e sui capi sintetici leggeri. In questa fase si fa ricorso a remover specifici per silicone, reperibili nei negozi di bricolage. Si tratta di gel a base di distillati di idrocarburi, progettati per gonfiare la matrice siliconica e farle perdere coesione. La procedura prevede di stendere il gel con un cotton fioc esclusivamente sul residuo gommoso, evitando qualsiasi contatto prolungato con le parti sane: dieci, quindici minuti di posa bastano perché il film si intenerisca. Con un bastoncino di legno di tiglio si gratta via la pasta ormai pastosa, riapplicando il solvente laddove lo strato fosse più spesso. Terminate le rimozioni successive, si sciacqua la zona con abbondante acqua tiepida e una goccia di sapone neutro per eliminare ogni tracciante oleoso del gel. Il tessuto, a questo punto, può essere lavato normalmente in lavatrice con programma delicato e temperatura moderata, evitando centrifughe vigorose che in fase di asciugatura potrebbero fissare residui di solvente non perfettamente evaporato.
Prevenire gli aloni post trattamento attraverso il riequilibrio delle fibre
Anche quando il silicone è scomparso, il tessuto può mostrare un alone opaco, segno che le fibre hanno assorbito parte dei fluidificanti o del solvente. Ristabilire la lucentezza originaria richiede un bagno in acqua tiepida acidulata: mezzo bicchiere di aceto bianco per quattro litri d’acqua crea un pH leggermente acido che chiude le cuticole della fibra, particolarmente efficace su capi in cotone e lino. Dieci minuti di immersione, seguiti da risciacquo in acqua fredda, ristabiliscono la mano. Per sintetici come poliestere o poliammide, l’alone si elimina meglio con un cucchiaino di bicarbonato nella vaschetta dell’ammorbidente: l’azione tampone ripristina la tensione superficiale e disperde eventuali residui oleosi. Il tessuto dovrebbe asciugare steso all’ombra, in modo che la luce solare non irrori pigmenti sbiancati dal solvente, evitando così la formazione di una zona leggermente più chiara rispetto al resto del capo.
Ridurre il rischio di ricontaminazioni future mediante accortezze di cantiere domestico
Il sigillante silicone, in ambito casalingo, vola sui tessuti soprattutto durante interventi di bricolage in bagno o in cucina. Proteggere i capi con grembiuli in tessuto cerato o teli in TNT prima di avvicinarsi al tubo di cartuccia è la migliore difesa, ma raramente si attua con la dovuta precisione. Un trucco pratico consiste nel sigillare le cartucce parzialmente usate con un tappino in gomma che si avvita sul beccuccio e previene fuoriuscite accidentali quando si ripone l’attrezzo in cassettiera. Un altro accorgimento salva-tessile è indossare guanti in lattice non talcati: evitano che piccole gocce di silicone si depositino sull’anulare o sul polso e vengano poi trasferite al pantalone nel gesto di asciugarsi la mano. Per le soprabiti usate nei lavori più impegnativi, un giro di pellicola alimentare intorno alla manica all’altezza dell’avambraccio crea una barriera monouso che al termine si getta insieme a eventuali sfridi di sigillante.